I BIANCHI di Caprafico

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Lungo l’asse occidentale di via Oberdan, proprio dove l’antico percorso di via Pessale incontra le crêuze che scendono al Porticciolo, troviamo un’importante testimonianza medievale: la Chiesa di Santa Maria Assunta di Caprafico. Il nome Caprafico indica la località dove nella seconda metà del Quattrocento sorse la chiesa. Secondo la leggenda una capra sarebbe stata liberata per mostrare a tutti dove costruire l’edificio sacro e si sarebbe fermata proprio presso un fico, da cui Caprafico. Ma osserviamo che nella zona, presso il mare, cresce rigoglioso il fico selvatico o caprifico, da cui verosimilmente potrebbe derivare Caprafico.
Comunque l’edificio nacque come oratorio della Confraternita dei Bianchi e divenne presto la chiesa dei pescatori, dei naviganti e dei contadini della borgata. Se la chiesetta di San Paolo al Capo fu un centro di ospitalità per i pellegrini, l’Oratorio Nostra Signora di Caprafico fu un centro di vita sociale per gli abitanti, un centro tanto radicato che ancor oggi gli anziani nerviesi chiamano la zona Ötöio.
Le confraternite, ovvero cum fratres, fin dai primi secoli del cristianesimo associarono i fedeli con scopi di fratellanza spirituale e caritativa, ma ebbero un grande fioritura nel Quattrocento. A suscitarla fu il movimento penitenziale dei Bianchi dell’anno 1399. Così ne scrisse lo storico settecentesco Ludovico Antonio Muratori nei suoi Annali d’Italia:
Celebre fu quest’ anno per la pia commozione dei Bianchi… Portavano essi cappe bianche, ed ivano incappucciati uomini e donne, cantando a cori l’inno “Stabat Mater dolorosa” che allora uscì alla luce. Entravano in processione nella città, e con somma divozione andando alla cattedrale intonavano di tanto in tanto Pace, Misericordia. Passati quei d’ una città all’altra, se ne tornavano poi la maggior parte alle loro case, e quei della città visitata portavano ad un’altra il medesimo istituto. A chi avea bisogno di vitto, benché fossero migliaia di persone, ogni città caritatevolmente lo contribuiva; essi nondimeno altro non richiedevano se non pane ed acqua. Fu cosa mirabile il mirare tanta commozione di popoli, tanta divozione, senza che vi si osservassero scandali come scrivono alcuni. Più mirabile fu il frutto
Di Marcella Rossi Patrone
che se ne ricavò, perciocché dovunque giungevano cessavano tutte le brighe, e si riconciliavano i nemici e i più induriti peccatori ricorrevano alla penitenza in guisa che le confessioni e comunioni con gran frequenza e fervore si videro allora praticate. Le strade erano sicure, si restituiva il mal tolto, e furono contati o vantati non pochi miracoli come succeduti in questo pio movimento. Siccome ne’ precedenti avevano avuto origine le scuole o sia le confraternite dei Battuti, così nel presente ebbero principio altre confraternite appellate dei Bianchi, le quali tuttavia durano nelle città d’Italia.
Direttamente dalle cronache genovesi di Giorgio Stella, sappiamo poi che i Bianchi erano venuti in Piemonte dalla Provenza, erano discesi al Polcevera ed erano arrivati a Genova, per continuare poi verso Recco, Chiavari, Rapallo e la riviera orientale, calmando con efficacia le discordie tra Guelfi e Ghibellini. La benevolenza e la fiducia nei loro confronti crebbe e si diffuse, col desiderio di imitarli.
Negli anni a seguire molte confraternite dei Bianchi sorsero grazie alla predicazione ed al sostegno del frate francescano Bernardino da Siena, che fece della Liguria un campo speciale di attività apostolica. Fu così che nel 1441 gli abitanti di Nervi si unirono in confraternita, rispondendo proprio a padre Bernardino, che li aveva esortati a venerare la Madonna: indossarono la cappa dei Bianchi di Provenza, si misero sotto il patrocinio della Madonna Assunta e promisero di rispettare un severo statuto, regolarmente sancito dall’Arcivescovo di Genova. La preghiera, il pentimento, la mutua assistenza e le opere di pietà costituirono i fondamenti della confraternita, che ben presto riuscì a far costruire il proprio oratorio, sul mare.
Non conosciamo la data precisa in cui venne costruita la chiesa, ma nell’Ottocento lo storico genovese Federico Alizieri citò un atto notarile del 1495, dove si commissionava allo scultore Giovanni Gaggini un cancello marmoreo per i disciplinati di Nostra Signora di Caprafico a Nervi.
Incastonato in una lesena al fianco destro dell’altar maggiore, possiamo oggi ammirare il più antico manufatto della chiesa: un delicato tabernacolo in marmo.

Di Marcella Rossi Patrone

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